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Approfondimenti | Il sesso della longevità (I)





Perché gli uomini vivono, in media, meno a lungo delle donne.

In un passato non troppo lontano, quando ancora non era possibile conoscere il sesso di un bambino prima della nascita, era normale chiedere ai genitori se avrebbero preferito avere un maschietto o una femminuccia. Una delle risposte più frequenti a questa domanda era: “Non ha importanza di che sesso è, basta che sia sano”…

Come dimostrano i dati statistici, il nascituro ha più probabilità di essere sano se è una femminuccia, dato che sesso e genere hanno una relazione significativa con il benessere fisico. Per dirlo in altri termini, la vecchia espressione “sesso debole” riferita alle donne ha scarso fondamento quando ci si riferisce allo stato di salute e alla longevità. Vi sono infatti differenze di sesso nell’epidemiologia (incidenza statistica all’interno di una popolazione) di molte condizioni fisiche, per esempio gli uomini hanno maggiori probabilità delle donne di sviluppare malattie cardiovascolari precoci, enfisema, e molte forme di cancro. Molti ricercatori ritengono che queste differenze sessuali nelle malattie e nella longevità non possano essere spiegate solo dalle differenze biologiche tra i sessi, e sembra vi siano ormai abbondanti prove che suggeriscono come alcuni aspetti della mascolinità tradizionale siano responsabili, almeno in parte, del differenziale nel capitale-salute di uomini e donne.

Non è un mondo per vecchi
Vivere a lungo, o meglio, sopravvivere agli uomini, non è certo “roba da femminucce”. Infatti, a mano a mano che le società industrializzate invecchiano, sempre più donne vivranno i loro ultimi anni da sole e con meno soldi. La transizione tra vita lavorativa e pensionamento, tra salute e malattia, e tra matrimonio e vedovanza porta a risultati molto diverse per uomini e donne. La conseguenza primaria della sopravvivenza delle mogli ai mariti, secondo il dr. Ginn della Surrey University, “è che mentre degli uomini in fase terminale di malattia si occupano le mogli o le compagne, le donne in genere restano vedove, spesso trascurate dai figli e parcheggiate in istituti. Inoltre, spesso le donne ricevono una pensione minore rispetto agli uomini perché la pensione riflette la disparità salariale tra i due sessi, perciò solo alle donne tocca affrontare la propria vecchiaia e l’eventuale crescente disabilità per lo più da sole con meno risorse a disposizione.

Le donne hanno un’aspettativa di vita più lunga degli uomini in quasi tutte le nazioni del mondo (Medscape); negli Stati Uniti, per esempio, le donne possono aspettarsi di vivere 5.3 anni più a lungo degli uomini (80.1 anni contro 74.8 nel 2003). Tuttavia, il divario è al suo minimo storico degli ultimi 50 anni, avendo raggiunto il suo picco nel 1975 (7.8 anni di differenza) per poi declinare in maniera costante. Il differenziale attuale nella mortalità varia in funzione della causa di morte, ma ancora oggi, quasi tutte le cause vedono le donne in posizione favorita. Il fumo è un fattore importante nel determinare la dimensione del differenziale tra i generi nelle nazioni, e si stima non solo che sia responsabile del differenziale negli Stati Uniti per circa il 25%, ma anche che possa spiegare la riduzione del differenziale che si è osservata negli ultimi trent’anni, dato che il numero di donne che fumano si sta rapidamente avvicinando al numero dei fumatori di sesso maschile.

Dove si vive di più e dove di meno (ma le donne vincono sempre…)
Dei 78 ultracentenari (110 o più anni) riconosciuti e viventi, 71 sono donne, e solo 7 sono uomini. In almeno 35 paesi del mondo le donne possono aspettarsi di vivere almeno fino a 80 anni, mentre è l’Islanda l’unico paese nel quale statisticamente anche gli uomini possono aspettarsi di vivere tanto a lungo. Il differenziale di sopravvivenza più ampio al mondo si trova in Russia, un paese noto per l’elevato consumo di alcolici e l’alto tasso di suicidi: in media le donne vivono 11-14 anni più dei loro compatrioti maschi, la cui aspettativa di vita è attualmente di 57 anni. L’aspettativa di vita più lunga al mondo spetta invece al Giappone, dove ancora una volta le donne (86 anni) battono gli uomini (78 anni) non solo in termini di sopravvivenza, ma anche di Healthy Life Expectancy, il termine coniato dall’OMS per descrivere il numero di anni che una persona può aspettarsi di vivere in condizioni di salute relativamente buone, ossia senza condizioni gravi o croniche. Secondo gli esperti, i dati del Giappone sono da attribuirsi almeno in parte a una dieta sana e a un eccellente sistema sanitario.

L’aspettativa di vita maschile è inferiore a quella femminile nella maggior parte delle nazioni del mondo, ma la differenza è particolarmente significativa nei paesi avanzati ad alto reddito, dove nel XX secolo ha conosciuto una crescita strepitosa. Non bisogna infatti trascurare che agli inizi del ‘900 questa differenza era contenuta soprattutto perché l’aspettativa di vita era bassa in generale per entrambi i sessi, ma da allora gli incredibili progressi nelle condizioni economiche e di vita, nei servizi di salute pubblica e nella tecnologia medica hanno allungato la vita di uomini e donne in un modo che non ha precedenti nella storia dell’umanità.

La tendenza all’equalizzazione dell’aspettativa di vita che si è osservata a partire dagli anni ’70 spinge a indagare la natura della relazione tra genere sessuale e mortalità, e a chiedersi lo svantaggio di lungo corso degli uomini nei confronti delle donne continuerà a diminuire, oppure se scomparirà del tutto.

Mortalità U.S.A.1900-2003

Tutte le razze

Età e anno

Totale

Maschio

Femmina

Δ

Alla nascita

 

 

 

 

1900

47.3

46.3

48.3

2.0

1950

68.2

65.6

71.1

5.5

1960

69.7

66.6

73.1

6.5

1970

70.8

67.1

74.7

7.6

1975

72.6

68.8

76.6

7.8

1980

73.7

70.0

77.4

7.4

1985

74.7

71.1

78.2

7.1

1990

75.4

71.8

78.8

7.0

1995

75.8

72.5

78.9

6.4

2000

77.0

74.3

79.7

5.4

2003

77.5

74.8

80.1

5.3

A 65 anni

 

 

 

 

1950

13.9

12.8

15.0

2.2

1960

14.3

12.8

15.8

3.0

1970

15.2

13.1

17.0

3.9

1980

16.4

14.1

18.3

4.2

1990

17.2

15.1

18.9

3.8

2000

18.0

16.2

19.3

3.1

2003

18.4

16.8

19.8

3.0

A 75 anni 

 

 

 

 

1980

10.4

8.8

11.5

2.7

1990

10.9

9.4

12.0

2.6

2000

11.4

10.1

12.3

2.2

2003

11.8

10.5

12.6

2.1

Le spiegazioni più “accreditate” per la maggior longevità femminile possono essere classificate in tre categorie: biologiche, socio-strutturali, comportamentali. Sotto il profilo biologico sembra che alle donne sia offerta una sorta di protezione contro la mortalità, per esempio alcuni studi suggeriscono che gli estrogeni svolgono una funzione protettiva rispetto alle malattie cardiovascolari perché riducono il livello di colesterolo circolante, mentre il testosterone aumenterebbe il livello di lipoproteine a bassa densità; inoltre, le donne hanno un sistema immunitario più resistente, in parte perché il testosterone provoca immunosoppressione.

Più longeve ancora prima di nascere
Secondo il dr. Robert Young del Gerontology Group, “perfino nell’utero i feti femminili hanno una probabilità di sopravvivenza migliore di quelli maschili, e il 90% dei bambini prematuri più piccoli che riescono a sopravvivere sono femmine. La biologia ha un ruolo importante, perché le donne (XX) hanno più geni degli uomini (XY), e il cromosoma Y è molto più piccolo e ha meno geni di “backup” in caso qualcosa andasse per il verso sbagliato”.

Tuttavia, la biologia da sola non può spiegare le differenze di genere nella mortalità, soprattutto perché questo rapporto varia in maniera sostanziale nel tempo e nelle nazioni. Ciò spiega perché la maggior parte della ricerca contemporanea è centrata sui fattori sociali, strutturali e comportamentali che possono concorrere a spiegare l’esistenza del differenziale di longevità tra i sessi. Si osservi che nonostante i continui miglioramenti, lo status socioeconomico delle donne continua a restare inferiore a quello degli uomini, e perfino in società molto avanzate come quella statunitense le donne hanno maggiore probabilità di svolgere lavori part-time o non retribuiti, o di ricevere salari inferiori a quelli maschili a parità di mansioni - tutti elementi che contribuiscono a mantenerle in una posizione socioeconomica inferiore, svantaggiata anche sotto il profilo della salute. Infatti, si può ipotizzare che il differenziale nella sopravvivenza tra i due sessi sarebbe ancora maggiore, a svantaggio degli uomini, se le donne fossero in condizioni economiche uguali a quelle degli uomini.

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